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L’ultimo battito d’ali della Farfalla, tributo a Muhammad Ali

Muhammad Ali
Ci sono uomini, sportivi, che entrano nella leggenda non solo per le imprese sportive, ma che vi entrano di diritto per il loro lascito, per la loro eredità. Prima però di entrare nella leggenda questi uomini entrano nel cuore delle persone, diventano fonte di motivazione ed ispirazione per affrontare una quotidianità che talvolta rischia di mandarci al tappeto. Il 3 giugno 2016 ci ha lasciato il più grande pugile che la storia della boxe abbia conosciuto: Muhammad Ali.

La nostra storia inizia nella Contea di Jefferson, a Lousville, nel Kentucky. La nostra storia non è quella di un ragazzo cresciuto fra le difficoltà che viene dalla strada. Cassius Clay Jr., il protagonista della nostra storia, era un ragazzino appartenente al ceto medio statunitense.

Approcciò alla boxe in modo fortuito quando a 12 anni, cercando la bicicletta che gli era stata rubata, si imbatté in una palestra: da lì non ne uscirà più, diventerà la sua vita.

A soli 18 anni, nel 1960, vinse la medaglia d’oro nella categoria mediomassimi alle Olimpiadi di Roma.

[Curiosità: questa medaglia subito dopo il suo arrivo in America venne gettata da Clay nel fiume Ohio, dopo essere stato cacciato da un ristorante per “white people only”.]

Questo segna il solco d’inizio della sua carriera professionistica. Parliamo di un tre volte campione mondiale dei pesi massimi. Ma Cassius Clay non entrerà nella leggenda solo grazie alle sue vittorie sul ring.

Muhammad Ali Match Ring Liston
Liston giace al suolo dopo essere stato messo KO in appena un minuto con un solo pugno, il phantom punch

La conversione all’Islam e la questione Vietnam

Clay” significa argilla, creta, qualcosa di poco valore. Quel ragazzone di quasi 100 kg per 190 cm il giorno successivo alla vittoria del suo primo titolo mondiale cambiò il suo nome in Muhammad Ali, annunciando la propria conversione all’Islam, il 26 febbraio 1964.

Muhammad” significa letteralmente “degno di esser amato” ed “Ali” richiama l’altissimo: degno di essere amato da Dio, questo era il suo nuovo nome. Un gesto forte, un gesto di emancipazione personale, un gancio violentissimo a quell’America razzista, dove nero è male, mentre bianco è bene. Non era un modo per automartirizzarsi – non è mai stato niente di tutto ciò, non era Ali, non era questo il suo stile.

Muhammad Ali Beatles John LennonMuhammad Ali tiene in braccio Ringo Starr

Ali era irriverente, sicuro di sé, davanti alle telecamere quasi recitava, scherniva avversarsi nei pre-match e sul ring. Così iniziò a schernire la sua patria, quella stessa impregnata di pregiudizi e odio gratuito nei confronti di una religione che per protesta decise di abbracciare. Tutto questo gli valse anche il soprannome di Labbro di Lousville.

Non ho nulla contro i Vietcong. Nessuno di loro mi ha mai chiamato negro.

Così Muhammad Ali decise di non arruolarsi e partire alla volta di una delle guerre più assurde che la storia abbia mai conosciuto: la guerra del Vietnam. Fu così che una giuria di suoi pari, composta da soli bianchi, lo condannò a 5 anni di reclusione; ricorrendo in appello riuscì ad evitate il carcere, ma la sua licenza di pugile venne revocata fino al 1971. Durante questi anni affiancò la sua figura, prestò la sua immagine e fece percepire il suo impegno accanto a figure come Malcom X e Martin Luther King, sempre con quell’irriverenza e sagacia che lo ha sempre contraddistinto.

Cassius Clay Martin Luther KingMuhammad Ali assieme a Martin Luther King

La persona Muhammad Ali

Le sue immagini che lo ritraggono sul quadrato con guantoni e sguardo concentrato sono tante quanto quelle in cui parla in pubblico, un altro ring che ha sempre amato e nel quale ha sempre lottato per difendere i suoi ideali.

Di lui si potrebbe scrivere un intero libro di sole citazioni, Muhammad Ali non era carismatico: egli era l’impersonificazione del carisma.

Si definì GOAT, Greatest Of All Times:

Sono il più grande, l’avevo già detto anche prima di averlo saputo. Avevo capito che, se avessi continuato a ripeterlo, avrei convinto il mondo intero di esserlo.

E ancora:

Chi non ha il coraggio di prendersi dei rischi, non raggiungerà mai nessun obiettivo nella vita.

Questa frase fa capire bene che persona fosse fuori dal ring:

La vita è breve, e diventiamo vecchi velocemente. Non ha senso sprecare tempo odiando le persone.

Ma la sua frase più celebre è  questa:

Impossibile è soltanto un parolone pronunciato da gente misera che trova più facile vivere nel mondo che gli è stato dato piuttosto che esplorare le possibilità che hanno per cambiarlo. Impossibile non è un dato di fatto. Impossibile è un’opinione. Impossibile non è una dichiarazione. È una sfida. Impossibile è un’eventualità. Impossibile è temporaneo. Impossibile è nulla.

Impossible is nothing“, dove altro avete sentito questa frase?

Ci lascia oggi colui che è stato incoronato sportivo del ‘900, superando miti come Micheal Jordan, Jesse Owens, Nadia Comaneci, Ayrton Senna, Pelè e Maradona.
Il suo personaggio ha ispirato uno dei personaggi chiave della saga di Rocky Balboa: Apollo Creed. Velocissimo con i piedi, dotato di tecnica sopraffina, scherniva i suoi avversari proprio come faceva Ali.

Negli anni ’80 gli fu diagnosticato il morbo di Parkinson, ma nonostante ciò, 16 anni dopo, in occasione dei Giochi Olimpici di Atlanta ’96, tutto tremolante riuscì ad accendere la sacra fiamma olimpica nelle vesti di tedoforo.

Immagini che hanno fatto il giro del mondo e che ben fanno capire quale fosse la forza di Cassius, diventato Muhammad.

Muhammad Ali Tedoforo Olimpiadi Atlanta 1996

Gian Battista Piras

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